Padova
12 maggio 2008
Un anno.
È passato un anno ma sembra un secolo fa. Iniziando questa pagina mi sento come se stessi iniziando la “parte 2” di questo diario.
E la cosa mi piace.
Quante e quali cose sono passate in questi dodici mesi. Non sono neanche in grado di contarle tutte. La più importante, ovviamente, l’erasmus.
Il miglior regalo che potessi fare alla mia vita. 9 Settembre – 16 Febbraio.
Non ho mai vissuto fino a quel momento.
Ho scritto molto di quel periodo, ma da un’altra parte, che ora è chiusa come quella esperienza, per sempre conservata nella parte più cara del mio cuore.
È stato il periodo della mia vita in cui ho finalmente trovato tutto ciò che cercavo, e dato risposta a milioni di dubbi.
Ma soprattutto, è stato il periodo in cui ho trovato me.
In cui ho conosciuto la me stessa più vera, la donna.
E soprattutto il momento in cui ho lasciato che il mondo mi scoprisse ogni giorno, così come io ho fatto con lui.
Ogni singolo giorno è stato prezioso, un tesoro che porterò con me per sempre, ma non rinchiuso in un baule con un grosso catenaccio, no, a disposizione di chiunque voglia attingerne.
Ho sempre saputo che la libertà è il bene più prezioso che una persona possiede, ma non ho mai compreso quanto sia importante essere liberi nella maniera più totale, ossia semplicemente ESSERE se stessi cercando di esprimere ogni momento ciò che si prova.
Esprimere per condividere, che altrimenti se te le tieni per te le emozioni ed i sentimenti finiscono per seccarsi dentro, inaridendosi giorno per giorno, come le piante dei vacanzieri nella calura d’estate.
Io sono stata.
Io ho vissuto.
Io ho condiviso.
Tutto ciò che era celato in me, sepolto sotto cumuli di rimorsi e rimpianti d’annata, di paure inutili e pure un po’ infantili e di vergogna generata dal complesso del sentirsi inadatta.
Beh, tutto è svanito con il soffio di un pensiero.
Sono stata perché ho vissuto, ed ho vissuto perché ho condiviso regalando e rubando quanto di meglio potessi trovare nelle persone che mi erano accanto.
Sono stata una ladra di pazienza e di affetto, ho cercato di sfamare l’insaziabile e lacerante vuoto che era cresciuto con me in lunghe nottate di pianti sommessi.
Ho prosciugato, per quanto ho potuto, le fonti inestinguibili dei doni ricevuti.
Non posso pensare a loro e scindere i loro volti dalla definizione di “famiglia” che un qualsiasi dizionario di qualunque lingua può fornire.
Sono stata madre, figlia, sorella ed amante di ognuno di loro.
Ho amato. Sempre. Nella maniera più profonda e per il puro piacere di farlo.
Ho ascoltato le mie pulsioni ed i miei istinti, facendo sempre ciò che mi suggeriva quel pizzico di pazzia che rende la vita interessante.
Non ho mai avuto paura.
Non sono mai stata sola.
Ma ho pianto comunque molto.
Ho pianto perché la gioia era troppa.
Insopportabile tutto l’amore che ti si riversa addosso se vivi in pace.
Ho pianto perché non volevo abbandonare qualcosa che sarà parte di me in eterno. Come un giuramento dinanzi ad un altare più forte di una promessa che non si può mantenere.
Ho sentito la carne come strapparsi quando, a poco a poco, uno per volta, sono partiti i membri di questa famiglia acquisita. Ho temuto di non essere in grado di respirare quando ho chiuso alle mie spalle la porta di quella che per sempre sentirò essere la mia casa. Il mio punto di partenza e ritorno.
Ci è voluto tempo perché trovassi la forza di scrivere tutto questo. Tre mesi. Quasi tre mesi sono passati da quando atterrai nella notte più triste della mia vita. Il mio ritorno a casa. O ad una parte di essa.
Un’altra parte, forse la più grande, è rimasta lì, celata dietro quella porta chiusa. Io la immagino immobile, sacra, inviolata come quando ho detto addio. Anzi, arrivederci ad un domani che so esistere ma che è ancora lontano.
Tre mesi. Ma il sangue corre più veloce mentre scrivo queste parole che descrivono ricordi. Ricordi forti, pieni, vivi, indelebili, veri, amati. E tutto sembra così vicino eppure perduto tra le nebbie dei tempi.
Una favola meravigliosa che deve ancora trovare la sua fine. Che continuerà ad essere raccontata fintanto che nei nostri cuori rimanga intatto l’amore puro verso gli altri, compagni di viaggio che han condiviso con noi la fase più importante della nostra crescita.
Mi manca Tours. Mi manca sempre.
Ma non c’è tristezza né rimpianto in ciò che provo. Io continuo comunque ad essere felice ed a provare amore.
Benedico ogni istante di quei sei mesi, benedico ogni singolo sguardo che ho incrociato, ogni centimetro d’aria che ho condiviso con qualcuno. Non c’è nulla che possa scalfire questi sentimenti, i più forti che il mio cuore ricordi.
Ho trovato e conosciuto me stessa in questo viaggio, ma sento che la conoscenza è ancora lunga.
Ho amato molte persone ma una in particolare e l’ho amata davvero. Posso ancora sentire ciò che prova e ciò che pensa. È ancora l’unico a cui il mio cuore pensa appena ha un po’ di tempo libero.
Io so di amarlo. Come non ho mai amato nessuno. Perché sta volta, ho amato prima me e poiché ho amato me sono stata in grado di amare lui; senza perdere il mio io, senza distogliere l’attenzione da ciò che eravamo prima come noi stessi e poi come unica persona.
Io provo ancora tutto questo.
E, se è possibile, in maniera ancora più forte perché più consapevole. E credo che in fondo anche lui lo sappia. E credo che in fondo lui provi lo stesso, ma la paura di ciò che sente e di perdere ciò che ha assorbe gli echi del suo sentimento.
Ed io lo amo e non ho paura di dirlo, e prego che possa essere felice e che non scenda a compromessi mai, ma che pretenda di vivere la vita nella maniera più piena, perché è tutto ciò che merita.
E lo amo al punto tale che so che non ci sarà mai un luogo ed un tempo adatti per noi, ma sono felice lo stesso, perché ho avuto la grazia di conoscerlo ed entrare a far parte della sua vita seppur per un breve periodo.
Ed accetto la sua perdita.
In maniera matura e consapevole accetto il fatto che non solo l’oceano ci divide, ma anche un mondo fatto di abitudini, convenzioni ed atteggiamenti totalmente diversi.
Ma lo accetto.
Sarà sempre vivo in me il fuoco che provo per lui. Gli ho donato tutto ciò che potevo; avrebbe potuto uccidermi soffiandomi un po’. Ma non lo ha fatto.
Mi ha accettata e sostenuta e protetta ed ammirata, ed ha preteso che io facessi lo stesso.
E ci siamo donati l’un l’altra nella maniera più libera possibile, ma senza perderci, regalando all’altro quanto più era possibile regalare, in modo che conservassimo sempre, come un marchio a fuoco, come un tatuaggio inciso fin nelle viscere dei nostri intestini, ciò che consapevolmente ci stavamo regalando.
La verità del sentimento, la sua profondità e purezza hanno lasciato tracce indelebili nelle nostre vite. Tracce da cui dobbiamo ripartire facendo i conti con loro.
Io non so più quante volte ho ringraziato Dio per tutto ciò che ha voluto concedermi. Ma tutte queste volte non sono ancora abbastanza. Allora che ogni mia preghiera sia una volta in più, che se pregherò tutta la vita forse sarò in grado di estinguere il debito.
È stato un anno pieno. Il più intenso. L’anno in cui sono cresciuta.
L’anno in cui sono diventata la donna che cercavo disperatamente di veder riflessa negli occhi degli altri. L’anno in cui ho ripreso contatto con la mia terra e tutte le estremità del mio corpo.
L’anno in cui ho capito che cosa sia finalmente la vita e quanto sia inutile cercare di viverla da soli. Che le cose vissute assieme valgono il doppio.
L’anno in cui mi sono riappropriata del mio nome, per quanto indichi per me un destino silenzioso (Monica, dal greco Monaké, la solitaria).
L’anno in cui ho trovato ciò che ho cercato tutto il resto della mia vita.
Me stessa.
Mi chiamo Monica De Spirito, ho quasi ventisei anni e sono VIVA.
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