"Ama il prossimo tuo come te stesso" in ebraico è "ama il prossimo tuo perchè è come te stesso". Il male si accomoda nel cuore e nel cervello, si ripete fino all'insensibilità e spesso si riaffaccia ingannevole sotto altra forma quando pensavi di averlo allontanato. "il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche che Dio aveva fatto.."; il male raggira, ci compra, ci chiude e vuole che noi non camminiamo.
Capire non vuol dire giustificare, il male è male, capire è la misericordia che nasce da un cuore che conosce le proprie miserie, i propri dolori, i propri errori e che quindi riesce ad accogliere anche l'altro nella sua debolezza. La compassione nasce da un vedere. Un conto è abitare nei palazzi, un conto è abitare con la gente e guardarla negli occhi ogni giorno e vederne nel volto la stanchezza, l'incapacità di essere quello che vorrebbe essere.
"Misericordia" in ebraico è rachamim, la cui radice rimanda alle viscere uterine, al grembo materno; è così che capisco l'eccesso di misericordia di una mamma verso un figlio e di Dio verso i suoi figli. Perchè li hanno partoriti. Hanno accettato anche quelle parti della loro vita che non sono ancora compiute, cercano di spingere in avanti quello che ancora appare piccolo e debole, incompleto e immaturo.
Il perdono richiede la lotta con noi stessi per non diventare come ciò che odiamo. L'odio ha la forza di toglierti l'identità e farti forma di ciò che odi, se non riesci a portare il nome di colui che odi "un po' più in là dell'odio e dell'invidia".
Dobbiamo trasformare il nostro istinto violento in dolcezza, la chiusura in apertura; occorre che "non tramonti il sole sopra la vostra ira", perchè se un dolore ci tormenta, ci possiamo sforzare finchè vogliamo, ma ci porteremo sempre dentro il bisogno di vendicarci. Il perdono libera il cuore quando va oltre le ferite, quando non cerca la sconfitta dell'avversario, ma ha rispetto di quello che l'altro potrebbe essere e non riesce ad amare.
Il perdono sa che la vita si manifesta in una maniera incredibilmente lenta e quotidiana.
Quante persone facciamo soffrire con il nostro odio, quante soffocano per il nostro rancore, quante sono prese nella rete delle nostre disperazioni. Nel cuore ferito si annida il bisogno di ferire gli altri, forse persino di essere feriti ancora.
La terza fase del perdono è la più fatico, ma la più necessaria per essere liberi finalmente da ciò che ci ha ferito. Ti perdono io, che sono stato la persona ferita. Ciò che abbiamo di più bello sono tutti quei punti della nostra vita che in origine possono aver fatto molto male ma coi quiali abbiamo imparato a vivere e che si sono trasformati in sorgenti di comprensione e di bene.
L. Verdi
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